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Ho ascoltato il giovanissimo Fiorenzo Pascalucci le cui facoltà musicali e pianistiche mi hanno vivissimamente impressionato. Si tratta di un elemento eccezionalmente dotato, destinato, lo credo, ad una carriera internazionale delle più brillanti.
Molto ha colpito l’interprete pesarese alle semifinali, nella Sonata in La maggiore D 644 di Schubert, per la adesione allo stile viennese: interiorità, cantabile fluido, con un vigile ricorso al rubato, lucente brillantezza. Pascalucci muta registro nella Seconda Sonata di Chopin, tra intimismo e nitidezza architettonica. È una versione di raffinatezza cameristica, calibrata al millesimo nei disegni melodici e timbrici. Nel Trio, sezione centrale della Marcia funebre, il cantabile vive in remote lontananze, nella sottigliezza del mistero. Il finale, alla Michelangeli, è sentito con sfuggente respiro materico. Mentre in un Notturno seduce per il melodismo estatico. Da Chopin allo chopinismo della Terza Sonata di Scriabin, in cui il pianista riconduce i tortuosi cromatismi e le esasperazioni espressionistiche dell’opera nell’alveo di un lucido costruttivismo.
In un recital le sinfonie di Beethoven, Chopin e Debussy
NAPOLI. Quante volte la musica di Debussy è suonata come avvolta da una coltre di nebbia? Sempre a tutto pedale, soffocandone l’intensità espressiva, il suono. Beh! Ascoltando il recital di Fiorenzo Pascalucci (nella foto) sabato sera nella chiesa di Sant’Anna dei Lombardi, abbiamo apprezzato un Debussy diverso, per nulla patinato e convenzionale, lontano dalle omologazioni stilistiche proposte da molti e che ci hanno abituato all’idea di unico linguaggio impressionista, rarefatto e impalpabile. Sebbene, il giovane e già pluridecorato sul campo pianista, presenti un programma trasversale da Beethoven ad Arnold Schönberg, passando per Chopin e sintetizzando a modo suo di un secolo e mezzo di storia della musica; ma è su Claude Debussy che punta tutto, riuscendo a dare il meglio di se nei due capolavori della letteratura pianistica d’inizio Novecento: Estampes e L’Isle Joyeuse. Sì perché utilizzare una chiave di lettura, per così dire simbolista nell’interpretazione di suite visionaria e complessa come Estampes, potrebbe sembrare non solo la cosa più logica ma anche quella più scontata, prevedibile. In Pagodes invece ho avuto la sensazione che si andasse oltre l’effetto visivo prodotto dalle suggestioni esotiche del compositore, l’apertura verso quell’intensità espressiva di cui sopra è graduale e sempre più incisiva, fino a diventare luminescente nei Jardins sous la pluie, una
toccata virtuosistica che ricorda un po’ quella che chiude un’altra suite praticamente coeva, Pour le Piano.
Così come del 1904 è l’Isle Joyeuse, succosissima ciliegina sulla torta con cento cinquanta candeline di Claude Debussy. Insomma, la cronaca di quest’ultimo appuntamento col Festival Pianistico racconta di una Cappella del Vasari piena in ogni ordine di posto (e anche di più) per il concerto di Fiorenzo Pascalucci, pianista brillante, sicuro di se, talentuoso certo, che a volte si fa travolgere dall’esuberanza (vedi lo Scherzo in si bemolle), ma capace di regalare emozioni anche quando le emozioni non sono previste come nei Drei Klavierstücke di Schönberg. Artista sensibile e spavaldo, dalle potenzialità enormi, che non ha paura di confrontarsi con Beethoven e Chopin e di uscirne magari con le ossa rotte; ma quel suono sfoggiato nella sonata in mi maggiore di Domenico Scarlatti è un dono della natura.
Fiorenzo Pascalucci, un ottimo concertista, dotato di una Musicalità eccezionale con una tecnica e un fraseggio veramente superlativo.
Il vincitore di quest’anno, Fiorenzo Pascalucci, ci sembra avere le doti per aspirare ai migliori successi. Ha dimostrato ottima tenuta, cosa indispensabile in queste defatiganti selezioni e, se lo Schubert della Sonata op. 120 in la maggiore e la Barcarola op. 60 di Chopin, affrontati con disinvoltura, gli avevano meritato l’accesso alla finale, la vittoria è arrivata con una prestazione ancor più positiva, che comprendeva il Preludio op. 45 e la Sonata op. 35 di Chopin, eseguiti con grande eleganza di suono. Accostando ad essi un Foglio d’album e la Terza Sonata op. 23 di Scriabin, il giovane interprete certamente intendeva farci riconoscere le derivazioni chopiniane dell’autore russo, che veniva proposto con una compostezza che lo sottraeva alle esaltazioni e al tono eccitato di molte interpretazioni storiche. L’isle joyeuse di Debussy, unico brano mantenuto dal programma del giorno prima, appariva ulteriormente messo a fuoco e più nitida risaltava la costruzione formale, il procedere verso una conclusione di pura, incontenibile gioia.
(recensione per la finale del XXV Premio Venezia)
Fiorenzo Pascalucci chiude in grande stile il Festival Pianistico di Napolinova
Uno sguardo ora sul protagonista, che già avevamo avuto modo di apprezzare in una serata rivolta al Novecento, come componente del duo “Sein und Zeit” (“Essere e Tempo”).
Anche in questa occasione Fiorenzo Pascalucci, in un recital complessivamente di ottimo livello, ha mostrato la sua predilezione per il repertorio del secolo scorso, riuscendo in un vero e proprio miracolo, consistente nell’ottenere un silenzio ed un’attenzione incredibili, nel momento in cui ha eseguitoitrebranidiSchönberg.
Da questo punto di vista, considerando anche una Sala Vasari piena all’inverosimile, dobbiamo fare i complimenti anche agli spettatori, che hanno perciò meritato i ben tre bis, rivolti rispettivamente a Debussy, Chopin e Domenico Scarlatti.
Al pianista Fiorenzo Pascalucci il premio Cidim – Nuove Carriere
“I migliori complimenti a Fiorenzo Pascalucci che lunedì
è stato votato vincitore di Nuove Carriere: la sua è
stata una esibizione brillante e originale, che ha saputo
coniugare sensibilità e virtuosismo. Non ha sorpreso
quindi che il pubblico abbia voluto apprezzare il suo
enorme talento.”